Patrizia Cattaneo


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Perché ho scelto la clausura

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INTERVISTA A UNA CARMELITANA SCALZA



Sei una ragazza bella e intelligente, estroversa e di buona famiglia. Non ti è mai mancato niente. Vuoi parlarci della tua vocazione per aiutare le persone in ricerca e i genitori che hanno il dovere di aiutare i figli a scoprire e realizzare la propria vocazione?
Volentieri! Anzitutto mi chiamo suor Maria, ho 39 anni e sono una monaca carmelitana scalza. Prima di entrare in monastero ho completato gli studi all’università di scienze dell’educazione. Sono in monastero da 13 anni.

A che età hai cominciato a sentire la chiamata alla vita religiosa?
Prima della chiamata alla vita religiosa devo parlare di una chiamata precedente, quella a vivere da figlia di Dio, che da sempre ho avvertito nel mio cuore. Fin da bambina, prima di addormentarmi, mi interrogavo sulla vita, sul senso delle cose, sulla sete del mio cuore che sembrava desiderare qualcosa, o meglio Qualcuno, che non avevo mai visto e che non conoscevo, ma di cui avvertivo stranamente la nostalgia. Nel tempo questa nostalgia non si è affievolita, al contrario è cresciuta con me, diventando un mistero sempre più grande che nessuno riusciva a spiegarmi ad illuminarmi e a colmare.

Quindi fin da piccola avvertivi che Dio ti chiamava a seguirlo?
Sì, ma il richiamo di Dio era soffocato in me da mille altre sollecitazioni, amicizie, sport, studio, svago, lavoro, che confondevano la mia ricerca di Verità di Infinito, di Felicità.

E sei riuscita a far tacere questa Voce?
Come si può soffocare la voce di Dio in noi? Per quanto si possa far chiasso in noi e fuori di noi, niente riuscirà mai a far morire la nostra origine. Dio ci ha creati liberi e non fa violenza alla sua creatura per manifestarle il Suo Amore. Così ha lasciato che sperimentassi il mio limite, la mia insoddisfazione e soprattutto il “nonsenso” di vivere guidata dai miei desideri immediati e superficiali. Mi sono scontrata con la mia povertà creaturale e spirituale. Mi sono lasciata guidare dal mio egoismo, cercando di dissetarmi a ruscelletti mondani e a fonti inquinate, che anziché dissetarmi, hanno contribuito a togliere armonia al mio essere, diviso e ingannato da false promesse e da affetti incostanti e fragili.

Quando hai preso coscienza di una chiamata diversa?
Durante il periodo dell’università questa Presenza che “mendicava” la mia attenzione e soprattutto il mio amore, è risuonata in modo particolare, grazie anche al silenzio che si era creato in me per l’insofferenza delle molte esperienze della vita. Vivevo continuamente un “oltre” che non riuscivo ad afferrare, una sete che non potevo colmare, una pace che il mio cuore non riusciva a trovare, nonostante fossi circondata da persone che mi amavano e la mia vita poteva dirsi abitata da tutte quelle realtà che ogni giovane desidera.
Un giorno gridai la mia angoscia a Dio: “Mi dicono che tu sei mio Padre, ma io non lo sento e non vivo da figlia. Se davvero esisti e sei mio Padre mostrati nella mia vita. Eccomi, lo voglio!”. Fu a partire da quel grido che incontrai Dio, incontrando anche la vera me stessa, smascherando il personaggio che ostentavo per recitare la mia parte nella società. Avvertii uno Sguardo d’amore che era da sempre su di me, ma che io non riuscivo a riconoscere e a ricambiare. Uno sguardo davvero disarmante, perché fatto di perdono, di accoglienza, di luce, di pace, che mi ha sedotto nel profondo, non attraverso una bellezza effimera e passeggera, ma con il fascino della Verità e del Bene. E’ stato come rinascere, come trovare il Tu che da sempre il mio cuore bramava e a partire dal quale potevo vivere tutte le altre relazioni senza pretendere da esse la Vita che solo Dio può dare.

È stato allora che hai scelto il convento?
La chiamata alla vita religiosa è nata più tardi. Quando ci si scopre infinitamente amati, si desidera ricambiare questo amore. Ma come? Dove? Lo chiedevo in preghiera. Pensavo di partire in missione per un Paese povero e lontano, o di servire Dio in un ospedale o in un orfanotrofio, o semplicemente potevo formare una famiglia e spendermi per un marito e dei figli. No, niente di tutto questo! Era come se Gesù mi chiedesse di offrirgli tutti i miei desideri, anche se buoni e santi. Risuonavano nel mio cuore le sue parole: “Lasciami vivere in te, pregare in te nel Getsemani, sul monte, nel deserto, sulla croce ...”.
Così pian piano ho preso coscienza della centralità della preghiera. Per “preghiera” non intendo la recita di molte formule, ma mettere la propria sensibilità al servizio dell’umanità. Il Carmelo è arrivato dopo, quando nel mio cuore è risuonato l’invito chiaro di Dio ad essere una “carmelitana scalza”. Non sapevo nemmeno cosa fosse una carmelitana, ma ho lasciato che gli avvenimenti confermassero l’ispirazione interiore e Dio realizzasse in me il suo disegno. Così un susseguirsi di circostanze e di coincidenze mi hanno portato al Carmelo e a suggellare con il mio “amen” la chiamata di Dio. Volevo brillare per Lui proprio come è scritto nella Bibbia che “Dio chiama le stelle per nome e queste brillano”.

Hai aderito subito al richiamo o come si legge in tante agiografie hai tergiversato?

Non ho tergiversato. Diciamo però che mi sembrava davvero strano che Dio mi chiamasse a questo stile di vita, mi sentivo inadeguata visto il mio temperamento vivace, di fuoco, il mio carattere volitivo, la mia creatività. Secondo una certa mentalità, forse ancora in auge, la vita monastica è fatta per persone molto riflessive, introverse e calme. E questo modo di pensare ha rischiato di condizionare anche me. Ma appena ho capito che Gesù aveva scelto per me questa strada, ho aderito subito e con tutta me stessa. Quando s’incontra l’amore non si ha più paura di niente e ci si lascia semplicemente condurre dalla persona amata. E si gioisce di questo. Non è così anche tra fidanzati?


Quando e come hai preso il coraggio della decisione? Ti ha aiutato qualcuno?

Un sacerdote mi ha aiutato a fare luce e a verificare l’autenticità della mia vocazione. Finiti gli studi universitari, ho chiesto di fare un’esperienza all’interno del monastero dove ora vivo e ho potuto constatare che quella era davvero la strada che Dio aveva scelto per me. Leggendo e approfondendo poi le opere di Santa Teresa, di San Giovanni della Croce, di Teresa di Gesù Bambino, ho capito di appartenere da sempre a questa famiglia religiosa. La vera decisione non è stata tanto quella di entrare in monastero, quanto di volere seguire Gesù, di dargli “carta bianca”. E Lui mi ha portato qui!


La tua famiglia come ha reagito alla tua decisione?

Tra noi monache si usa dire che la vocazione l’abbiamo ricevuta noi e non le nostre famiglie ed è normale che le reazione siano le più disparate e imprevedibili, ma devo dire che i miei familiari, vedendo la felicità nei miei occhi, non hanno mai fatto resistenza, pur non comprendendo questa scelta. Hanno sofferto molto, ma in modo molto dignitoso e altruista, riconoscendo di trovarsi di fronte ad un mistero che li superava. Uno dei miei fratelli pensò che qualcuno mi avesse fatto il lavaggio del cervello e cercò di dissuadermi. Anche i miei amici, tra cui il ragazzo che frequentavo sino a poco tempo prima, furono davvero sorpresi, prima per il mio cambiamento e poi per l’ingresso in monastero. Ero l’animatrice del gruppo, delle feste, delle “schitarrate” estive e notturne in riva al mare… non fu facile per loro accettare tutto questo, qualcuno dubitò e si allontanò da me, ma il giorno della mia professione religiosa, qualche anno più tardi, non mancò davvero nessuno dei miei amici, tutti contenti di vedere i miei occhi brillare di felicità.


Cosa hai provato nel lasciare il mondo dietro di te?

Ti sembrerà strano, ma entrando in monastero non si avverte di lasciare il mondo, almeno per me è stato così. Al contrario lo si porta dentro con sé, nel proprio cuore, nella propria storia personale, soprattutto nella preghiera. Sono fermamente convinta che chi vuole entrare in monastero lasciando il mondo dietro di sé, non è adatto a questa vocazione, ma questa è solo una mia opinione personale. Bisogna intendere bene questa mia affermazione. Certo, i rapporti con le persone e con le realtà non sono più gli stessi, ma si avverte che tutto diventa più profondo, più forte e che si ama di più la vita, le persone, le cose, tutto ciò che di buono Dio ha creato, ma lo si ama in modo nuovo, con maggiore purezza, senza possesso, nella libertà come accade nel vero amore. Certe realtà che magari per molti sono indispensabili e preziose, perdono la loro luminosità, ma questo non entrando in monastero, ma già da prima, come credo debba essere per ogni cristiano che sia coerente con la propria fede. Gesù lo ha spiegato bene: è sul nostro cuore, sul rapporto che abbiamo con le cose e le persone che dobbiamo vigilare. Certo la vita in monastero è strutturata in modo da custodire un clima di silenzio e di preghiera. Così, per esempio, non ci sarà tutto il giorno l’eco di una televisione accesa o cose del genere. Ma la vita contemplativa parte dal cuore.


Quando un giovane entra in religione in genere si pensa che abbia avuto una delusione amorosa, che la vita religiosa sia un ripiego. E' così?

Assolutamente no, questo è un modo superficiale di leggere le cose! Da bambina e da adolescente ero colpita da quelle persone che si consacravano interamente a Dio, pensando che nella loro vita doveva essere successo qualcosa di veramente speciale. Ed è così, l’ho toccato con mano, anzi con il cuore: è esattamente tutto il contrario di quello che in genere si pensa. Non è una delusione d’amore che muove a delle scelte così radicali, ma è un innamoramento, l’incontro con l’Amore che le fa nascere e maturare. Diciamo che ci vuole una certa “follia d’amore” un “eccesso di desiderio”!


Qual è lo scopo e il senso della clausura?

Si dicono tante cose sul senso della clausura, ma per essere sincera non mi piace identificare la nostra vita con il termine “clausura” preferisco chiamarla “vita contemplativa”.
Essere monaco o monaca è dire attraverso la vita che Dio è amore, che la preghiera, l’incontro costante con Dio, la comunione d’amore con Lui, ha il primo posto nella vita dell’uomo. È a partire da questa comunione che tutto il resto prende significato.

I contemplativi, per vivere questa vocazione, devono essere certo migliori degli altri…
La vita contemplativa è un servizio, una missione che Dio affida a delle persone, non migliori, né più adatte secondo i canoni del mondo, ma semplicemente persone che Dio ha scelto e che hanno detto il loro sì, come si dice quando ci si sposa o quando si vive una qualunque altra missione. Dio mi ha chiamata a farmi “preghiera” per gli altri, offrendomi una stile di vita che mi aiuta a realizzare questa missione. Essere preghiera è vivere la vita di Cristo quando si ritirava da solo sul monte a pregare e nel suo cuore portava le sofferenze e la gioie del mondo, esprimendole al Padre.

La clausura può rendere felici, mancando di tutti i divertimenti oggi comunemente intesi?

Io credo che ciò che ci rende davvero felici è occupare il posto che Dio ha preparato per noi.
Quando vengono qui in monastero delle scolaresche di bambini, coi loro insegnanti, e chiedono perché questa vita e cosa vuol dire stare al proprio posto, mi piace usare il corpo umano come paragone e dico loro: «Se io sono chiamata ad essere una mano, non posso mettermi al posto dell’occhio, vi immaginate una mano al posto dell’occhio? Oppure se sono un braccio e invece mi ostino a volermi mettere al posto del naso… non sarebbe più un naso, ma una proboscide! Allora è giusto che ognuno occupi il proprio posto nel grande corpo dell’universo e nella Chiesa stessa, e bisogna pregare per scoprire chi siamo realmente e qual è la nostra missione. Ma anche questo non basta. Io posso essere una mano e stare al mio posto, ma se non svolgo con amore il compito della mano non servo all’intero corpo, anzi lo affatico, chiedendo alle altre membra un lavoro supplementare. Bisogna allora che la mano sia contenta di essere mano e che compia la sua missione di mano con amore e a servizio dell’intero corpo. E’ l’amore che ci identifica e ci rende davvero felici. Allora perché non dovrei essere felice di fare il “cuore” e di stare al posto del cuore? Questo organo è invisibile, perché occupa un posto nascosto, ma ha una missione importante per l’intero corpo». Insomma, la felicità non è una questione esterna a noi, ma nasce dal realizzarci come persone che amano con la loro propria identità. Non è la “clausura” che rende felici o infelici ma è accogliere e realizzarsi nell’amore secondo il progetto di Dio per ciascuno di noi, nel posto e con la missione che ci è stata affidata. Siamo come un’unica grande orchestra dove ciascuno è chiamato ad accordare il proprio strumento musicale per partecipare alla sinfonia universale.


Pensi di aver fatto la scelta giusta?
Penso che la scelta non sia partita da me, ma è Gesù che ha preso l’iniziativa. Lui mi ha scelta … io ho solo detto il mio si. Può non essere giusta la scelta di Dio?

Chi o cosaaiuta a portare avanti questo percorso?

Al di là degli aiuti e mediazioni umane, per le quali ringrazio ogni giorno il Signore, ciò che mi aiuta davvero èsperare e amare.


Cosa diresti ai giovani che si perdono dietro a tante false luci?

Prendete in mano il Vangelo! Lì c’è tutto quello che desiderate, però non leggetelo in modo moralistico, ma come incontro con una Persona Viva: Gesù Cristo e lasciate che il vostro cuore trovi le risposte giuste per la vostra vita. Credete in voi stessi, “Dio ci ha fatti come un prodigio” e credete anche al Suo immenso amore per voi. Nel Vangelo che è la Persona stessa di Gesù, c’è la verità su noi stessi, su Dio, sulla vita. Leggetelo lasciando che lo Spirito che è in voi vi illumini, si prenda cura di tutta la vostra persona e vi conduca alla verità tutta intera.


Al giorno d'oggi in cui la società si sta scristianizzando e anche le famiglie, credi possibile che i giovani possano sentire il richiamo di Dio e alla vita religiosa?

Credo di sì, perché la voce di Dio è più intima all’uomo di quanto non lo sia la persona a se stessa. Le strade che oggi percorrono i giovani sono diverse da quelle del passato, ma il cuore è lo stesso e la sete di verità e di amore non è cambiata, anzi oserei dire che si è approfondita. Dio non ha smesso di cercare l’uomo, di desiderare la sua amicizia e in fondo l’uomo non smette di cercare il Suo Dio, anche se talvolta confonde la sua nostalgia di Dio con altri desideri che, anche se appagati, non gli colmano il cuore. L’abisso del cuore dell’uomo e l’abisso dell’amore di Dio sono in profonda relazione e non smettono di cercarsi. Tante esperienze che oggi i giovani fanno e tanti ambienti scristianizzati nei quali vivono, li gettano in una grande povertà spirituale, che aumenta la loro sete di felicità e di amore. Ma questa povertà non è un ostacolo al richiamo di Dio. Anzi, la povertà può essere una grande occasione per fare silenzio e udire l’unica frase che Dio desidera sussurrarci: “Ti amo”. Dio non ha lasciato nulla d’intentato per far giungere all’uomo questo messaggio, offrendo perfino il Suo Figlio. L’unica cosa che lega le mani a Dio, ed esprime anche il suo grande amore per l’uomo, è la libertà con la quale ci ha creati e che rispetta sempre. Se tu vuoi fare un dono meraviglioso a qualcuno, ma questi non lo vuole, non puoi costringerlo ad accettarlo, semplicemente ti rattristerai per il suo rifiuto.

Sono molte le vocazioni alla vita claustrale in generale e nel tuo convento?

Mi sembra che le vocazioni alla vita contemplativa siano decisamente in aumento. Nel mio convento siamo 17, un numero discreto, considerato che Santa Teresa, la nostra fondatrice, voleva che le nostre comunità non superassero 21 monache.


Che rapporto avete col mondo?

I contatti più diretti avvengono nel parlatorio, quando le persone si avvicinano a noi perché hanno bisogno di essere ascoltate e desiderano affidarsi alle nostre preghiere. Poi il lavoro ci mette a contatto con diverse persone. Per quanto riguarda le notizie di cronaca, di politica ecc., leggiamo i quotidiani cattolici come “L’Osservatore Romano” e “L’Avvenire”. Non guardiamo la televisione se non in casi eccezionali, quali eventi ecclesiali di rilievo, o il telegiornale nel caso di avvenimenti particolarmente importanti. Usufruiamo di una connessione internet, ma solitamente ce ne serviamo solo per la posta elettronica.


C'è un limite di età per entrare in clausura?

Non c’è una norma scritta che indichi un limite d’età. Si cerca di guardare alla persona e alla veridicità della chiamata, nella consapevolezza che una vocazione giovane ha maggiori possibilità di riuscita, per tante ragioni.


Se qualcuno si sente attratto e desidera fare una prova cosa deve fare?
Semplicemente contattare un monastero e parlare con la Priora. Ogni comunità ha le sue regole.

Ho sentito che in alcuni ordini di clausura si pratica ancora la disciplina come strumento di penitenza. Perché sopravvivono pratiche tanto insensate di stampo medievale? L'amore di Dio non può esprimersi in forme più realistiche e utili agli altri?

Io credo che esisteva e purtroppo ancora sussiste in certe mentalità, l’idea che per poter incontrare Dio bisogna mortificare il corpo, che l’ascetica era preludio e presupposto obbligatorio per la mistica. Come dire che per innamorarsi di Dio, per piacere a Lui e incontrarlo bisognava sacrificarsi e mortificare il corpo. Forse si aveva anche un concetto negativo della fisicità, vista sempre come realtà contro Dio e di ostacolo per il cammino spirituale della persona. Ma il Figlio di Dio incarnandosi ci ha detto che tutto ciò che riguarda l’essere umano è “cosa molto buona” e che solo il peccato, il nostro egoismo e le nostre chiusure ci allontanano dalla comunione con Dio e con il prossimo.


Sono molte le defezioni, ossia le suore che non reggono e abbandonano la vita religiosa?

Non saprei. Qui da noi alcune sono uscite. Forse non era il loro posto, ma io mi sento maggiormente attratta da quelle che perseverano e che vivono con fedeltà e amore la loro vocazione. Gli esempi negativi non mi stupiscono e tanto meno mi scandalizzano, ma il bene sì, questo mi riempie di stupore e di gratitudine e mi fa crescere. Credo che il bene sia più incisivo e dirompente, anche se fa meno rumore, soprattutto all’interno della Chiesa. Quello che posso dirti è che i giovani cercano la Verità e sanno riconoscerla. Quando non la trovano incarnata, si sentono traditi e cercano altrove. Dobbiamo interrogarci su questo, sentirci responsabili della missione che Dio ci ha affidato.


Il sacerdozio e il matrimonio sono sacramenti, mentre i voti religiosi sono un sacramentale, quindi inferiori ai due precedenti stati. Perché allora tutta la tradizione cattolica ha sempre messo il matrimonio al di sotto della verginità consacrata?
Non lo so. Per me, ripeto, ciò che davvero conta è stare al proprio posto e compiere la propria missione con amore e a servizio della collettività.


Com'è la vita all'interno di un monastero?

La vita in un monastero è strutturata in modo che si possa vivere un clima di silenzio e di raccoglimento in un alternarsi di momenti di lavoro, studio, meditazione e preghiera, anche se non mancano i momenti d’incontro comunitario nelle ricreazioni e nelle riunioni capitolari.
La sveglia è alle 5.30. Alle 6 ci incontriamo nel coro della chiesa per pregare insieme le “Lodi”. Segue un’ora di preghiera personale e poi la santa Messa. Dopo abbiamo un altro momento di preghiera comunitaria, chiamata “ora terza” e quindi ci riuniamo per la colazione verso le 8.20. Poi inizia il lavoro fino alle 12 quando ci troviamo ancora nel coro per un altro momento di preghiera comunitaria, l’ora sesta. Alle 12.20 c’è il pranzo, seguito da un’ora di ricreazione durante la quale si può parlare liberamente, svolgendo dei lavori che non impegnano troppo.
Dalla 14 alle 15 ci ritiriamo nelle celle: in questo tempo ognuna può liberamente pregare, leggere o riposare. Dopo ci raduniamo per pregare l’ora nona. Riprende poi il lavoro seguito da un’ora di lettura. Alle 17.30 abbiamo il Vespro e un’ora di preghiera personale. La cena è alle 19, dopo la quale ci troviamo ancora per stare insieme, parlare e condividere liberamente la giornata trascorsa. Alla fine della ricreazione preghiamo l’ufficio delle letture e ci ritiriamo in cella per leggere, fare la cosiddetta “lectio divina”, meditare, scrivere o pregare. L’ultima preghiera comune è compieta, alle 21.45. Verso le 22.30 termina la nostra giornata con il riposo della notte.


Non è monotono un ritmo sempre uguale?

Sembrerebbe monotono , visto che gli orari sono sempre gli stessi, salvo nei giorni di grande festa nei quali comunque variano di poco, eppure posso assicurarti che non c’è un giorno uguale all’altro. Non vi è come il dinamismo di una vita interiore che rende una giornata diversa dall’altra.


Quali sono i ruoli delle suore e la gerarchia all'interno del convento?

A governo del monastero c’è la Priora eletta democraticamente e nelle cui mani professiamo la nostra obbedienza. Il suo incarico dura tre anni rinnovabili per altri tre. Viene poi eletto un piccolo consiglio di quattro suore che coadiuvano il servizio della priora, aiutandola nelle decisioni più importanti. La priora sceglie tra le sorelle, di cui una che svolga il compito di maestra delle novizie, ovvero che si prende cura della formazione delle giovani dall’ingresso in monastero fin quasi alla professione definitiva dei voti. Poi ci sono tutte le altre sorelle. Ciascuna ha un suo compito e un suo ruolo, a partire dai lavori inerenti il governo della casa, fino all’amministrazione economica del monastero. Svolgiamo inoltre diverse attività che ci consentono di provvedere ai bisogni della casa e di ciascuna sorella. Alcune fanno le corone dei rosari, altre si dedicano al ricamo. Altre ancora “scrivono icone”.


E' possibile esprimere opinioni personali in un monastero o bisogna sempre piegare il proprio giudizio a quello dei superiori o della maggioranza anche se è palesemente sbagliato?

Si può esprimere un’opinione diversa, considerato che la comunità è formata da persone molto diverse tra loro e questo costituisce una ricchezza. Poi si cerca di confrontarsi attraverso il dialogo senza però voler imporre il proprio punto di vista. L’ultima parola spetta alla priora, alla quale si deve obbedienza. Anche questo lo si vive con fiducia e amore anche se a volte può costare.


Qual è il sacrificio più grande che comporta la clausura?

Non saprei … credo sia una cosa soggettiva.


Come si concilia la libertà del cristiano conla vocazione alla clausura?

Si concilia perfettamente. Penso che non esista una libertà se non per amare. Si può essere liberi girando il mondo o stando in un letto d’ospedale. La libertà è una realtà interiore ed è sempre in rapporto alla nostra capacità di essere dono per gli altri. Mi sento in perfetta sintonia con la vita, con le persone, con il mondo intero, stando qui tra le mura di un monastero. E poi tutto dipende dai punti di vista e da quello che si desidera veramente nella vita. La chiave della porta di “clausura” ce l’abbiamo noi. Nessuno ci obbliga a stare qui, ci stiamo liberamente, per amore. Ecco perché non mi piace il termine “clausura”, che richiama realtà negative, quali l’intimismo o il chiudersi tra pochi, per godere egoisticamente di un bene posseduto. La vita contemplativa invece non è fuga né egoismo, ma è totale apertura per accogliere l’umanità, è una realtà più nascosta ma non meno reale ed essenziale.


Patrizia Cattaneo




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